Hunga Tonga-Hunga Ha’apai, nelle isole Tonga, era un’isola che non c’era e che nel giro di poche settimane è arealmente raddoppiata in estensione ed in pochi secondi, a causa dell’esplosione sottomarina, si è “sbriciolata” dividendosi in due porzioni ben definite. In futuro, potrebbe tornare ad accrescersi, ricostruita dal vulcano sottomarino che ne governa il destino. Un evento, ambientamento definibile “catastrofico”, osservato dai satelliti che ha provocato subitanei ma peraltro modesti ed innocui effetti sul segnale barico a livello globale. E gli effetti sul clima terrestre, nel prossimo futuro, sono ancora tutti da valutare.
Il servizio europeo “Copernicus emergency management service”, ha attivato immediatamente il monitoraggio ambientale mediante immagini satellitari prodotte dai satelliti Copernicus e Pleiades. Del resto, solamente le osservazioni dallo spazio permettono di comprendere rapidamente gli effetti dell’esplosione sulla “geografia” radicalmente mutata di questo lontana isola del Pacifico”. Lo ha affermato Massimiliano Fazzini, climatologo, docente dell’Università di Chieti e Coordinatore del Team sul Rischio Climatico della Società Italiana di Geologia Ambientale. Già meteorologo dei recenti mondiali di Cortina, è tra i climatologi più affermati. “Da un punto di vista dell’equilibrio atmosferico, l’esplosione ha provocato, con la sua “onda d’urto”, veloce Mach 3, una serie di picchi di pressione; sul territorio italiano, vista l’estrema lontananza dall’arcipelago di Tonga, ne è evidentemente arrivato solo uno, quantificabile in oltre 2 HPa, durato pochi minuti; esso è stato seguito da un altrettanto rapido calo della pressione atmosferica ed evidentemente, non vi è stato alcun effetto sulla distribuzione barica delle strutture di pressione esistenti.
Le misure attualmente elaborate confermano che l’eruzione di Hunga Tonga-Hunga Ha’apai è tra gli eventi vulcanici più violenti del nuovo millennio. Il 15 giugno 1991, l’esplosione del vulcano filippino Pinatubo – ha proseguito Fazzini – causò un’emissione stimata dalla NASA di circa 15 milioni di tonnellate di anidride solforosa, parte di esse raggiusero la bassa e media troposfera e le intense correnti troposferiche ridistribuirono piuttosto omogeneamente l’aerosol di acido solforico a livello globale in tempi di alcuni mesi cosi da determinare, “grazie ad una efficace schermatura” della radiazione solare incidente soprattutto da parte dell’anidride solforosa, un calo termico stimato mediamente in oltre mezzo grado per un periodo di circa 16 mesi. Occorre anche sottolineare che misure specifiche evidenziano la persistenza di quantità di acido solforico via via decrescenti per diversi anni, con potenziali ripercussioni anche su tele connessioni accoppiate come l’ENSO e sul comportamento del vortice polare.
Affermare che tale effetto possa avvenire dopo l’eruzione di Tonga è al momento quasi impossibile, occorrono innanzitutto i dati delle emissioni in troposfera ed eventualmente in stratosfera e di seguito, grazie a sofisticati quanto delicati modelli fisici, si potrà stimare l’eventuale decremento delle temperature Le prime stime, ottenute grazie alle misurazioni dei satellite Sentinel 5P e AURA della NASA oltre che da Copernicus, la quantità di anidride solforosa o altri composti solforosi dispersa in alta troposfera è al momento molto più bassa – meno di mezzo milione di tonnellate – rispetto a quella prodotta dal Pinatubo o più ancora dal vulcano Tambora nel 1815 (60 mln di tonnellate di SO2. Dunque, CONSIDERANDO CHE LA SOGLIA CALCOLATA DAI CHIMICI-FISIC PER PRODURRE UN EFFETTO SIGNIFICATIVO SUL CLIMA è DI 5 MLN DI TONNELLATE, i dati attuali alla mano evidenzierebbero che tali quantitativi di gas “retroattivi” nei confronti della radiazione solare non sarebbero sufficienti per determinare un ipotetico significativo “rumore” sulle temperature a livello globale”.