Il Pd campano ad un bivio. Parla la Schlein: Le leggi si rispettano. Chi vota il terzo mandato è fuori dal partito
L’EDITORIALE di ANTONIO ARRICALE – Bisogna ammetterlo: le donne hanno una marcia in più. E anche molte qualità in più degli uomini. A cominciare dalla determinazione e dalla chiarezza. E, in quanto a chiarezza, Elly Schlein, segretario nazionale del Pd, batte tutti.
Nell’affrontare il nodo delle elezioni in Campania, dove il presidente uscente ha già svolto due mandati e vorrebbe fare anche il terzo, stante peraltro una legge nazionale che lo vieta, è stata estremamende chiara: cambiare le leggi, piegarle ad uso e consumo dei satrapi di turno non è consentito.
E siccome, in Campania, Vincenzo De Luca, alias lo Sceriffo, insomma, uno del suo partito, vorrebbe arzigogolare, trovare un escamotage – diciamo il termine giusto – barare al gioco, per aggirare il divieto, non ci ha girato intorno: “Chi vota il terzo mandato è fuori dal partito”, ha detto.
Insomma, in Campania il candidato del Pd alla guida della Regione non sarà, né può essere De Luca. Il quale, al punto in cui si è giunto, potrà benissimo fare quello che ritiene, andarsene per fatti suoi o restare e allinearsi a quella che un tempo si chiamava “disciplina di partito”. E naturalmente, lo stesso potranno fare anche i consiglieri uscenti.
Più chiaro di così.
Elly Schlein – diciamoci la verità – è la più riformista dei pochi riformisti che pure ci sono (o si dicono) nel Pd. Ed è proprio questo il limite di questo partito, che appare – agli occhi dei più – conservatore quanto basta per restare abbarbicato al potere, ai privilegi, alle mode, perdendo di vista il suo – per così dire – azionariato di riferimento di un tempo: le classi meno abbienti, gli operai, gli umili, gli ultimi. Oggi potremmo, addirittura, tranquillamente dire: il ceto medio.
Un partito – nella visione della Sclein – che più degli altri dovrebbe aprirsi all’innovazione, intesa come azione riformatrice dello stato di cose, che non fa l’occhiolino alle élite, subendone il fascino asfittico. Un partito riformista che dovrebbe rimettere in moto quell’ascensore sociale che ha fatto dell’Italietta di un tempo una delle potenze economiche, culturali e sociali del mondo moderno, dell’Occidente.
E per fare questo ci vuole coraggio. Che poi è anche l’unica strada che premia.
Ed Elly Schlein, mi pare, ne ha da vendere di coraggio. Porta ad esempio i casi di Antonio De Caro e di Stefano Bonaccini, il primo amatissimo sindaco di Bari, il secondo presidente assai stimato della Regione Emilia Romagna.
Anche per loro la scelta più facile e comoda sarebbe stata quella di lasciarli al loro posto, al di là dei vincoli di legge. Ma non è così che funziona la democrazia. E non è così che si costruisce un partito nuovo. E non è così che si rinnova la società.
Del resto, i fatti, nel caso di De Caro e Bonaccini, “ci dicono che siamo stati premiati”, aggiunge il segretario del Pd.
Come darle torto.
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LA STORIA di ANTONIO ARRICALE – Todisco! Chi era costui? Come a Don Abbondio il nome di Carneade non diceva niente, anche ai casertani – immagino – il nome di Francesco Todisco non dirà granché. Almeno, ai non addetti ai lavori.
E dirà poco, a dire il vero, anche in Irpinia, terra di origine dell’attuale Commissario straordinario del Consorzio di Bonifica del Basso Volturno, essendo nato ad Atripalda 49 anni fa e risiedendo stabilmente ad Avellino, dove si è cimentato in politica senza infamia e senza lode. Nel senso, di aver occupato uno scranno del Consiglio comunale tra il 2004 e 2013, ma mancando sempre le occasioni del grande balzo al livello superiore.
In Consiglio Regionale, per esempio, ci arrivò per il rotto della cuffia, Francesco Todisco. Come primo dei non eletti della lista De Luca presidente, subentrando per pochi mesi a Carlo Iannace, chirurgo dell’ospedale Moscati, destituito per gli effetti della legge Severino, condannato in primo grado per vicende relative all’attività professionale.
Da ultimo, qualche mese fa, Todisco ci ha riprovato presentandosi alle Europee, ma ha fatto un altro buco nell’acqua. E, però, in un verso o nell’altro, è riuscito sempre a stare a galla – nel senso di beneficiare di uno stipendio ed una posizione interessanti – grazie all’abbraccio paterno del governatore regionale Vincenzo De Luca.
Essì, perché, Todisco è un altro anello di quel sistema di potere deluchiano che andiamo raccontando da qualche mese.
L’avvocato, infatti, così è riportato nel suo curriculum vitae depositato agli atti della Regione, è da sempre un uomo dello Sceriffo. Anche quando sembrava di averne preso le distanza, avventurandosi con gli amici dissidenti del PD che diedero vita ad Articolo 1. Acqua passata, che ha trovato peraltro sfogo nuovamente nel Pd. E pure Todisco, che nel Pd però è uomo comunque di De Luca. Sia detto con estrema chiarezza.
A Santa Lucia e, più precisamente, alla porta della stanza del presidente De Luca, Todisco non ha avuto mai necessità di bussare. E’ stato componente della segreteria, consigliere del presidente per le Aree Interne, nominato puntualmente in diversi enti in rappresentanza della Regione. Sempre ben retribuito. Non ultimo – ma decisamente più importante – come Commissario straordinario del Consorzio di Bonifica del Basso Volturno, ente pubblico con un centinaio di dipendenti ed un bilancio di circa 10 milioni all’anno.
Al Consorzio di Via Roma a Caserta, Todisco è arrivato, dunque, nel 2002, in sostituzione di un altro Commissario, Carlo Maisto, uomo forte di Stefano Graziano – sempre loro, sempre gli stessi – deputato del Pd, un tempo uomo di fiducia di Vincenzo De Luca in provincia di Caserta ed ora tra i suoi massimi detrattori. Anche Maisto, su una poltrona che avrebbe dovuto essere limitata ad un anno e finalizzata a restituire gli organi statutari al Consorzio, c’è rimasto cinque anni, dal 2015. Alla fine, dall’ente, Maisto è stato praticamene defenestrato – senza che il suo compito commissariale fosse mai portato a compimento – un po’ per la rottura tra Graziano e De Luca, ma principalmente per averne fatto di cotte di crude alla guida del Consorzio, gestito con metodi clientelari ed approssimativi. E’ troppo? Chiedete agli ex amministratori, per farvi un’idea. Per esempio, ad Angelo Lupoli, ultimo presidente legittimo del Consorzio, che ha dovuto adire addirittura il Tar per cercare di porre fine ad un tran tran a dir poco scandaloso.
Atteggiamento che è continuato anche con Todisco, che di Maisto ha preso il posto, percorrerendo, sembra, pari pari lo stesso esempio. A cominciare dall’incarico, che si ritrova nella qualità di Commissario straordinario, trasformato inopinatamente “sine die”. Come figura, cioè, delegata a ricondurre nell’alveo della legittima rappresentanza il Consorzio nello spazio di un anno. Anzi, per l’esattezza, 360 giorni. E che invece si protrae, ormai, da un decennio. “Il commissario ha un potere normativamente limitato all’adozione degli atti strettamente necessari alla convocazione dell’Assemblea per l’elezione de nuovo Consiglio dei Delegati e circoscritto all’adozione dei soli atti di ordinaria amministrazione”, recita il decreto di nomina firmato dal presidente della Giunta Vincenzo De Luca, la prima volta, il 14 dicembre 2021. Campa cavallo…
Da allora, prima dello spirare della scadenza, sempre De Luca – senza contare la gestione Maisto – di decreti ne ha firmati altri due, a fine anno 2002 e a fine anno 2023. E firmerà anche quest’anno, fra qualche giorno, facendo il copia e incolla dei decreti precedenti e, dunque, adottando sfacciatamente sempre la stessa formula: incarico limitato a 360 giorni e per l’ordinaria gestione, fino alla ricomposizione degli organi statutari legittimi.
Ovviamente, si tratta di vuote parole, che nell’indifferenza generale e nonostante una sentenza del Tar abbia dato ragione ai ricorrenti capeggiati da Lupoli, vengono puntualmente disattese. Anzi, con grande spregio delle norme. Capita, infatti, che intanto il Commissario straordinario si sia adeguato lo stipendio a quello dei dirigenti (5 mila euro netti al mese) che abbia fatto assunzioni a tempo determinato e, soprattuto, indeterminato (infilandoci amici e segretari) e ampliato, dunque, la pianta organica. Mentre, intanto, se l’è presa comoda, molto comoda, nel convocare l’Assemblea per restituire la normalità all’ente. Per la qual cosa, c’è tempo. Almeno fino all’anno prossimo, quando si tornerà a votare per la Regione. E, magari, riprovarci ancora, con De Luca presidente, ovviamente. Incrociando le dita di non fare un atro buco nell’acqua. Questa volta, in due.
In foto, da sinistra: Carlo Maisto, Angelo Lupoli, Vincenzo De Luca, Stefano Graziano, Francesco Todisco
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