“Il terremoto segnò una sorta di diaframma tra quello che eravamo, una civiltà contadina con secoli di tradizioni e quello che siamo diventati dopo. La civiltà contadina venne spazzata via dalla ricostruzione, sfrattata dal post terremoto. Perdemmo l’anima antica! Si sgretolarono non solo i muri fisici ma anche i muri immateriali, quelli della nostra civiltà contadina e di quella condivisione comunitaria che onestamente abbiamo perso per sempre. Siamo stati traghettati nella modernità ma abbiamo perso i valori del preterremoto. La ricostruzione ha demolito quella che era l’anima dei paesi, cancellando l’identità geografica , la fisionomia paesaggistica di questi territori ma anche la nostra anima. La ricostruzione ha spazzato via la nostra anima”. Forte, intensa, la testimonianza di Monia Gaita, scrittrice irpina che quella sera aveva 9 anni! Lei era a Montefredane, paesino collinare dell’Irpinia.
Quell’albero di Noce al chiarore della Luna, immagine simbolo di salvezza. Poi la ricostruzione. “Abitavamo in una villetta di campagna a circa 2 km dal centro. Eravamo appena tornati da casa di mia nonna quando sentii un boato, un brontolio cupo e crescente come se un grosso camion si stesse avvicinando. Poi all’improvviso la terra cominciò a tremare. Io avevo 9 anni, mio fratello 6. Mio padre ci guidò sotto l’architrave della porta. Mamma gridava – ha continuato la scrittrice – io pregavo la Madonna, la pregai con intensità come facevo sempre. Poi mio padre nel buio aprì a fatica le tre porte d’ingresso, l’ultima aveva uno sportello in ferro collocato a metà. Mi sollevò per farmi saltare dall’altra parte. La prima cosa che vidi fu il grande albero di noci che oscillava. La sua presenza mi rassicurò. C’era un silenzio irreale e la luna splendeva. Poi la scossa finì. Sarà che l’albero protendeva i suoi rami forti al cielo, sarà che la natura sembrava accogliermi tra le sue braccia, ma in quello stupore concentrato io mi sentii salva. Ricordo i parenti e gli amici a casa. Si dormiva nelle auto. Poi dopo qualche giorno mettemmo le brande nel salone e nelle camere. Eravamo uniti nel pericolo comune e se ogni tanto le scosse di assestamento ci spaventavano, si assestava tra noi quella vicinanza che infondeva coraggio. Era il conforto del rischio condiviso. Ricordo che quando poi ognuno fece ritorno alle proprie case, io venni sopraffatta da un’enorme tristezza. Quella gente mi aveva fatto compagnia, aveva tappato i buchi al mio vuoto, alle mie paure. Quella gente mi mancava. Poi fece irruzione il post-terremoto che mutò la fisionomia dei paesi. Assistemmo con speranza e gioia all’avvento della modernità, le facciate truccate a nuovo, le scale antiche sepolte dall’asfalto, le palazzine che subirono un restyiling. E subimmo un passaggio di stato, quello che eravamo stati fino a quel momento transitò in una forma nuova. Fu come un cambio d’abito. I paesi indossarono vestiti più attuali, più alla moda, più smaglianti. Prima avevano i panni di lana, poi indossarono la lycra, il nylon. Ma non si accorsero che stavano subendo un’amputazione, una spoliazione, che stavano per essere privati della loro anima. Le strade si guardavano allo specchio senza riconoscersi, avevano perduto l’anima antica. La nostra civiltà contadina venne sfrattata, venne spazzata via”.
Il forte appello degli architetti: “Invece di Fare Presto ora facciamo prima: mettiamo in sicurezza le abitazioni. Bisogna essere attenti a qualsiasi segnale proveniente dall’edificio ed intervenire. Molti edifici, in Campania – ha dichiarato Antonio Cerbone dell’Ordine degli Architetti di Napoli, intervenendo oggi ad Acerra, nel napoletano all’evento : “SISMA IRPINIA 1980: LA SCOSSA CHE “SCOSSE” LE COSCIENZE”, ideato e organizzato dal Nucleo Comunale Protezione Civile di Acerra, dedicato al 42esimo anniversario del terremoto del 23 Novembre del 1980 – ed in particolare a Napoli, sono stati costruiti in quegli anni. Basterebbe pensare al famoso sacco di Napoli. Edifici che oggi hanno anche 42 anni in più rispetto al 1980”.
A confronto geologi, architetti, Protezione Civile, Vigili del Fuoco, testimonianze vive. L’appello della Regione ai Comuni: attrezzare i Piani di Protezione Civile. “Ci sono due aspetti di cui uno riguarda lo sviluppo della ricerca e della capacità di previsione – ha dichiarato Fulvio Bonavitacola, Assessore alla Protezione Civile della Regione Campania – l’altro insegnamento riguarda l’organizzazione di Protezione Civile. Sappiamo che in quel tragico 23 Novembre si dovette alzare la voce del Presidente della Repubblica, non avevamo la Protezione Civile. E’ stato poi lavorare negli anni successivi per arrivare alla legge del 1992 e poi al testo unico del 2018. Dunque tempi troppo lenti. E’ importante che i Comuni attrezzino i Piani di Protezione Civile. Come Regione sosterremo il finanziamento anche incentivando piani a livello intercomunale ed una grande attenzione sarà per il volontariato che è un alleato decisivo”.
Concentrarsi sulla sicurezza degli edifici strategici: ospedali, scuole. “I Comuni i devono eseguire le indagini di microzonazione sismica di primo, secondo e terzo livello. Il terremoto dell’Irpinia è stato un punto di partenza anche per il nuovo quadro normativo. A distanza di 42 anni però dobbiamo concentrare l’attenzione sulla sicurezza degli edifici strategici. C’è il tema degli edifici strategici ma anche del patrimonio culturale da tenere in sicurezza. Il terremoto in Irpinia ha evidenziato la fragilità e la fatiscenza del patrimonio edilizio italiano di quell’epoca – ha affermato Gaetano Sammartino, geologo, Presidente della Società Italiana di Geologia Ambientale sezione Campania – ancora non avevamo la Protezione civile che è stata proprio costituita a seguito del sisma coordinata dall’onorevole Giuseppe Zamberletti.
Dopo 42 anni da quella sera del 23 novembre 1980 cosa è cambiato? Sembra che sia cambiato tanto, ma in realtà è cambiato molto poco. Purtroppo, la cultura del rischio è ancora molto lontana. Negli ultimi 500 anni abbiamo avuto in Italia 88 terremoti distruttivi. Il 70% della sismicità che conosciamo si concentra nell’Appennino. Dall’Unità d’Italia i disastri sono stati ben 36”. Più di 4000 furono i Vigili del Fuoco sul campo. “I Vigili del Fuoco intervennero nell’immediatezza degli eventi – ha dichiarato Domenico Caputo dei Vigili del Fuoco di Napoli – perché questa è la mission fondamentale: portare soccorso tecnico urgente. Fu mobilitata tutta la macchina di soccorso di livello nazionale. Giunsero oltre 4000 uomini! Circa il 40% del totale dei Vigili del Fuoco operativi e questo, nel tempo, ha consentito di fare delle valutazioni perché raggiungere quei siti, portare aiuto alla popolazione, dare un sostentamento minimo per sopravvivere, fece poi maturare la nascita della Protezione Civile”.
Nel napoletano il modello Acerra che punta sulle scuole. “La cultura e la divulgazione della Protezione Civile ha un ruolo fondamentale perché mira alla formazione e all’informazione che sono concetti fondamentali. Educare la platea scolastica rappresenta un passaggio importantissimo perché i ragazzi devono essere coscienti e consapevoli. Dunque scuole sicure con un’edilizia scolastica sicura ma allo stesso tempo è importante intervenire sull’informazione – ha dichiarato Francesca La Montagna, Assessore alla Protezione Civile del Comune di Acerra – e la conoscenza. Riproporremo il progetto Plinius nelle scuole con il quale faremo prevenzione ed informazione. C’è il caso di Willy Smit , studentessa che salvò centinaia di persone dal maremoto nell’Oceano Indiano nel 2014. Lei aveva studiato lo tsunami in Geografia e quando vide alcuni segnali riuscì a fare evacuare tutta la spiaggia”, conclude il comunicato stampa.